L’ESPERIENZA DELL’ORATORIO: IL CRISTIANESIMO VISSUTO COME AMICIZIA

L’esempio del Monastero di Vitorchiano

Monastero Trappiste - Vitorchiano
L’amicizia è una scelta di fede e di ragione che esige una purificazione e un dono incondizionato di sé, ed è sempre vittoria su ogni tentazione di possessività ed egoismo.

“La mutua sollecitudine per il bene dell’altro, la mutua riverenza e stima, la gioia per il progresso dell’altro come fosse il proprio progredire, il pianto per la caduta dell’altro come fosse la propria caduta.

Fare ogni sforzo per sostenere il pusillanime, per sollevare chi è infermo, per consolare chi è triste, per sopportare l’irascibile.

Fare in modo che l’errore non ricada mai su chi lo ha commesso perché non debba arrossirne, ma colui che ha visto l’altro commettere l’errore ne assuma il peso come fosse lui stesso a commetterlo, di modo che l’amico senta che colui che deve essere perdonato più che se stesso è l’amico del suo cuore”. (Aelredo)

L’amicizia può arrivare ad una sostituzione di umanità che paga con la propria vita, reputazione, stima, la liberazione dell’altro dal suo proprio male, nell’ascesi di un’amicizia senza calcoli. (Esempi: Massimiliano Kolbe, Teresa di Calcutta, Etty Hillesum):

Nella Tradizione cistercense ci sono testimonianze di tenerezza profondissima, impregnata di umanità, di desiderio amante di Dio e dell’uomo. San Bernardo nelle sue lettere scrive affermazioni di questo tipo: “Non riesco a non affliggermi se ti affliggi tu e, udendo le tue preoccupazioni e le tue angosce, a non essere anch’io angosciato e preoccupato…mi tormento perché son privo di te, perché non ti vedo, non godo il dolcissimo sollievo che viene da te..”


Per vivere così occorre un cammino. Occorre il dono di un cuore nuovo. Nel monachesimo si parla di ritorno al cuore, cioè un ritorno al centro del proprio essere, per ascoltare la Parola di Dio e ricevere così la verità del nostro destino.

Ritorno al cuore implica dare spazio alla crescita di un rapporto gratuito e cordiale con i fratelli, dare spazio ad un maggior calore umano, ad una tenerezza autentica e rispettosa. Dare spazio alla mitezza, alla pazienza, alla dolcezza non è un cammino facile a causa della istintività e della violenza che tutti ci portiamo dentro. Occorre educare all’amore. 

Per questo occorrono persone che sappiano rischiare una tenerezza esplicita, un’ammirazione pulita, un gaudio della convivenza, che non elimina le fatiche dell’integrazione..e perciò essere coscienti che amore è dolore e solo chi muore a se stesso ama. Giovanni Paolo II diceva che l’amore si impara pregando, si impara servendo, si impara amando. Educare all’amore, alla reciprocità fedele, all’integrazione generosa, alla fiducia che afferma l’altro, altro non è se non quel servire in gratuità di cuore che compie il comandamento del Signore.

Solo chi ama costruisce se stesso, costruisce la Chiesa ed entra nello spazio della comunione trinitaria, in Dio. L’educazione all’amore è un tema da sempre presente nella tradizione cisterciense. I monaci erano definiti amanti, amanti di Dio, amanti dei fratelli.


Come è possibile tutto questo? Solo chi incontra l’Amore ama. L’affezione a Cristo resta la radice di ogni possibile, vera affezione. Non amo nessuno, se l’amore di Cristo non ha lacerato il mio cuore e non lo ha reso capace di un abbraccio vasto, gratuito, concreto e crocifisso, per ogni fratello. Le mani piagate di San Francesco insegnano molto sull’amicizia.

Occorre allora che l’amore di Cristo sia contenuto vissuto oggi, contenuto di un’esperienza che accade. Occorre una strada, un cammino, un aiuto che ci faccia intravedere il volto di Cristo dentro la realtà di tutti i giorni. Per questo è importante un dialogo che verrà proposto periodicamente a tutti.


Occorre riscoprirsi figli, cioè amati ora con il respiro di Dio che dà vita.

“Quanto tempo è passato
Prima che riuscissi a capire che tu non vuoi
Che sia padre se al tempo stesso non sono figlio…
Quanto più padre tanto più bambino”                          (Karol Wojtyla)


Occorre riscoprire la preghiera. Ci aiuta questa descrizione della esperienza di preghiera fatta da Madre Cristiana Piccardo:

Pregare

-è l’abbandono di chi procede nella notte della vita fra le braccia di una madre che mai ti lascerà cadere nel baratro dell’inconsistenza.
- è lanciare allo sbaraglio dell’adorazione il lento cadere dei petali dei giorni, verso la Presenza che colma la vita.
- è abbandonarsi ad un oltre che valica il tempo e si riveste dell’eterna giovinezza di Dio che da sempre ci prepara il posto nel suo giorno infinito.
- è passione per un ideale e gioia di servire la Chiesa
- è affondare nel mare profondo di una lode che non ha fine, oltre la miseria della mia distrazione, la fragilità della fantasia, la stanchezza del corpo. Dove la liturgia diventa il respiro della vita.
- è voce che canta nella notte l’attesa mattutina della luce, e canta nel meriggio, talora gonfio di calore e fatica, e canta nel vespero, dove già affiora la nostalgia di ciò che si consuma e che fiorirà eternamente nel seno del Padre, e canta nella notte l’invocazione al riposo vero e s’abbandona al Salve alla Madre del Cielo.
- è Qualcuno che ti prende per mano e ti conduce..a cui solo ci si può abbandonare ripetendo senza fine il grazie di una vita totalmente data.


“E tutta l’attività e la gioia, la felicità, il lavoro, l’ansia di nostra vita, altro non deve essere, che lo sforzo appassionato di comprendere, di sentire, di volere sempre più questo legame personale con l’Amore infinito. E la malinconia nostra è quella di non poterlo vedere, sentire, toccare come le cose di quaggiù, sì che troppe volte i simboli tentano di prenderci la mano, e smorzare nella nebbia terrena lo slancio dell’abbraccio appassionato verso di Lui”             (don Luigi Giussani)


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